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QUANDO È DIO
CHE CHIEDE PERDONO
di Isabelle Coulombe
Stefano aveva rinnegato Dio, ma Lui gli ha mostrato il suo volto, un Dio il cui amore e la cui misericordia superano ciò che avrebbe potuto immaginare.
Stefano cresce in una famiglia belga molto praticante: il rosario, la messa e la preghiera sono il pane quotidiano dei suoi genitori, ma durante l’adolescenza il ragazzo sostituisce il rosario e i canti religiosi con la motocicletta e l’ hard rock e si unisce a una comunità di motociclisti.
Vive a fondo la filosofia di moda negli anni ’80: sesso, droga e rock and roll in cui Stefano è particolarmente promettente. Lo si direbbe un’enciclopedia vivente dell’ hard rock. Kiss, Iron, Maiden e ACDC, per lui non hanno segreti. Ogni fine settimana attraversa l’Europa per assistere alle grandi esibizioni del rock in Olanda, Francia e Germania.
«Tra il 1981 e il 1992 ho visto tutti i gruppi che esistevano allora. Centinaia di concerti. Talvolta li ho rivisti una decina di volte», ammette. Per completare la sua adesione a «sesso, droga e rock and roll» un giorno un amico gli regala uno spinello per il suo compleanno.
«Era un dono avvelenato, evidentemente, perché si diventa presto dipendenti», afferma. «Sento dire spesso che è una cosa naturale. È falso, non si vince mai contro la droga. È dura uscirne». Ancora giovane, Stefano abbandona la casa, malgrado l'opposizione del padre e si trasferisce a casa della sua ragazza. I genitori della sua compagna non sono mai a casa e la coppia resta spesso sola. Per il padre di Stefano la convivenza del figlio è un affronto che non può accettare. Racconta: «La mia partenza ha raffreddato i nostri rapporti. Gli ci è voluto un anno per accettarla. Io soffocavo, avevo bisogno di spazio, di trovare la mia autonomia».
DOV’ È DIO ?
Nel 1990 Stefano ha 25 anni e uno strano presentimento: è convinto che morirà presto. Alcuni mesi dopo si verifica una morte, ma non è la sua. Suo padre viene stroncato da un infarto.
«Io sono morto, ma in un altro modo», afferma Stefano che vede morire suo padre in un letto d’ospedale. Un prete gli dà l’estrema unzione. Conosceva quel prete dall’infanzia, ma la sua presenza non lo rassicura affatto. In fondo al cuore nasce la rabbia. Dice a suo padre: «Tu che hai fatto tanto, tu che hai pregato tanto, che hai aiutato tanto: perché il tuo Dio ti lascia morire così? Se è questo il tuo Dio, un Dio che dà la morte, non ne voglio sapere!».
Da quel giorno Stefano divorzia con Dio. Smette di andare in chiesa, in quanto, stranamente, la domenica non aveva mai smesso di andarci per una promessa fatta al padre. «Mio padre mi aveva detto: “Te ne vai di casa, vai a convivere. Ebbene, sai che sono contrario alla convivenza. Tuttavia ti chiedo di andare a messa, ma senza comunicarti, perché non puoi fare la comunione in peccato”». Quelle parole avevano avuto un forte impatto su di lui.
«Era innegabile che vivessi in peccato, ma il suo tono era un po’ giansenista. Mi presentava Dio come se fossi in tribunale», racconta Stefano. Tant’è, comunque, che sceglie di ubbidire. Resta fedele alla promessa, malgrado lo stato di vita che aveva scelto. Il giovane coi capelli lunghi, con la giacca di cuoio, fa un effetto strano in mezzo ai parrocchiani.
«Mi capitava di presentarmi a messa completamente drogato», confessa. «Mi sono reso conto, malgrado tutto, che Dio gradiva il fatto che tenessi fede al mio impegno, per ubbidienza a mio padre e forse per questo Dio ha dato più a me che non ero in grado di ricevere, che ad altri che lo erano».
Ma morto suo padre, il contratto con Dio è concluso. Al suo funerale, nella mente di Stefano si affacciano mille pensieri. «Sesso, droga e rock and roll non erano che maschere. Io facevo tutto ciò a cui mio padre si opponeva, ma mi rendevo conto che mi ero sempre battuto per provargli che valevo qualcosa, che avevo il diritto di esistere, che avevo il diritto di essere amato. Ma quando mio padre è morto, il mio combattimento non aveva più senso. Il mio castello di carte è crollato. Mi sentivo svuotato».
Stefano non può più cercare l’approvazione di suo padre. Deve dare un altro senso alla sua vita. Si butta nella droga. Lavora sedici ore al giorno nella piccola azienda che lui stesso ha creato.
Inizia anche a chiedersi: a cosa serve vivere? Perché esisto? Qual è lo scopo della vita? Cosa c’è dopo? Domande che prima o poi tutti si pongono, ma che alcuni evitano, non trovando risposte esaurienti.
Un amico lo guida verso la teosofia e la reincarnazione. Stefano si lancia alla ricerca della verità, ma ne esce confuso.
«In queste religioni non ho trovato che frammenti di verità, mai la Verità tutta intera», spiega. «L’ho trovata solo più tardi nella Chiesa cattolica». Ma a quei tempi ciò che Stefano pensa della Chiesa non è molto glorioso. Le sue ricerche infruttuose lo gettano nello sconforto. La vita del motociclista non riesce ad appagare il suo malessere esistenziale.
Neppure il denaro ci riesce. Stefano infatti a 26 anni è già ricchissimo: «Potevo entrare in un negozio e comprare una motocicletta, come spendere 1000 dollari un sabato sera per partecipare a un concerto». La bella vita, come gli pare quella che conduce, gli dà la nausea. Non ne può più. E nessuno lo ha convinto che esiste qualcos’altro, un altro mondo. Così un giorno decide di farla finita. Va in cucina, prende una corda e una sedia e poi… E poi finalmente inizia a riflettere. Se è l’inferno che lo aspetta dall’alta parte - come gli hanno sempre detto - non ne sarebbe più uscito. «Sesso, droga e rock and roll non è poi così terribile, o per lo meno è un po’ meglio…», considera. Quindi neppure il suicidio è una soluzione.
LA RISPOSTA DI DIO
Stefano allora se la prende con Dio e lo aggredisce: «Perché sei morto? Io sto quasi per crepare! Che importa se sei morto 2000 anni fa? Qualcuno ti dice “ti amo”, io invece non posso dirti “ti amo”, e neppure posso dirlo a un pezzo di legno!». Stefano non si accorge neppure che sulla croce c’è appeso il Cristo, e continua: «Qualcuno dice che sei vivo. Se sei vivo fatti sentire adesso! Perché se non vieni adesso, significa che non esisti!». Stefano non lanciava un ultimatum, esprimeva solo le sue profonde convinzioni. E Dio rispose…
«Quello che è accaduto non posso provarlo, non posso neppure spiegarlo, perché non ho visto nulla, ma ho sentito una presenza ed era una presenza d’amore», spiega Stefano, mentre prende coscienza che in quella stanza non è più solo ma sono in due.
«Dapprima ho visto una mano davanti a me che nascondeva una specie di ammasso nero: erano i miei peccati. Mentre li copriva con la mano, Dio mi diceva: “Questo per me è niente!”. E quella presenza d’amore che era veramente molto forte, mi ha detto: “Stefano io ti amo!”». Nessuno lo chiamava con quel nome da molto tempo.
«Quelle parole mi hanno toccato, perché avevo rinnegato anche il mio nome. Il mio soprannome era Mick, e tutti mi chiamavano così. Ma Dio mi chiamava col mio nome. Là nella mia stanza, qualcuno mi conosceva e mi amava, e questo mi ha scosso».
«Il Signore mi ha chiesto: “Sei pronto a perdonare tutti quelli che ti hanno fatto soffrire?”. I nomi e i volti sfilavano nella mia mente. “Sì, perdono loro di cuore”, risposi».
Riprese: «E sei pronto a perdonare te stesso?». «Toh, cos’ho fatto?», si chiese Stefano. «Per avere sempre fatto ciò che hai voluto. Per avermi rinnegato», rispose il Signore.
Senza capire troppo, Stefano accetta di perdonarsi.
«Poi mi ha detto: “Stefano sei pronto a perdonarMi?». Per Stefano era una domanda sconvolgente. Aveva sempre immaginato Dio come un giudice spietato.
«Quando vedi i tuoi peccati e ti rendi conto che sei davvero niente e Dio stesso ti chiede perdono è sconvolgente. Ho incontrato Dio, ed era un Dio che si metteva in ginocchio davanti a me per chiedermi perdono!». Stefano non capisce. In che senso lui deve perdonare Dio?
«Mi ha spiegato: “Perdonarmi per averti lasciato libero e per tutta la sofferenza che hai vissuto”. Ma Dio era colpevole? No, siamo noi i responsabili del male, ma lui compatisce la nostra sofferenza. Siamo liberi, scegliamo la vita o la morte, la guerra o la pace. Se mancasse questa libertà non esisterebbe l’amore».
Dio aveva comunque bisogno del perdono di Stefano per entrare nella sua vita.
«E allora ho vissuto ciò che si chiama un’effusione di amore che mi ha fatto piangere per mesi. Non riuscivo a smettere di piangere. La gente diceva che ero depresso, ma io rispondevo che invece ero felice».
QUANDO SI HA DIO SI HA TUTTO
Stefano è come un uomo assetato nel deserto che scopre una sorgente. È insaziabile di ogni tipo di preghiera: adorazione, rosario, messa, Bibbia.
Gli anni passano, e Stefano riflette: «Mi sono accorto che Dio non mi aveva mai chiesto “Ora chiedimi perdono tu”». Gli tornano in mente le parole di suo padre: «Stefano, nella Bibbia c’è tutto. Va’ in chiesa e fa’ almeno una volta una vera quaresima. Fa’ una lista di ciò che vuoi offrire a Dio, tieni duro fino alla fine e Lui ti premierà».
Così Stefano si prepara alla confessione. Si prepara per cinquanta giorni. «Era per me un grande sacrificio, ma l’ho vissuto con facilità. A Pasqua mi sono confessato, sono uscito dal mio Egitto e mi sono purificato… era come se Dio mi avesse ricreato». Stefano capisce che deve continuare il suo impegno fino a Pentecoste. «Cinquanta giorni dopo ero in cucina e ho sentito che c’era anche Lui. Nei giorni seguenti ho capito che mi chiamava a servirlo nella sua Chiesa».
Stefano prende la chiamata sul serio, regala il mobilio e vende la casa. «Ho donato tutto per seguire Dio», dice. «Prima avevo tutto, ma non avevo niente. Ora non ho niente, ma ho tutto. Prima potevo trovarmi in mezzo a centinaia di amici, ma dentro ero solo. Ora posso trovarmi solo, ma con il Signore non posso più annoiarmi. Quando si ha Dio si ha tutto, anche se la vita non è necessariamente più facile».
I PIANI DI DIO NON SONO I NOSTRI
Stefano entra nella Comunità delle Beatitudini. «Pensavo di trascorrere la vita nel celibato. Mi dicevo: “Scusatemi signore, ma di donne ne ho avute tante, ma così tante, che mi è bastato”». Ma a sua insaputa una donna sconvolge i suoi piani: «Ci siamo innamorati davanti al Santissimo Sacramento. Durante le notti di adorazione, pregavamo, parlavamo. Poi mi sono detto:“Penso proprio di amarla”».
Da questo amore sono nate tre bambine e un maschietto. Sono oggi una famiglia missionaria della Comunità delle Beatitudini a Sainte-Anne-de-Beaupré.
«Prima di conoscere il Signore non mi sarei mai sposato. Non avrei mai voluto figli, mai! Consideravo il matrimonio un’istituzione banale. Oggi, conclude Stefano, scopro che Dio è vivo in mezzo a noi».
Articolo di Isabelle Coulombe, tradotto liberamente da: “Nouvel informateur catholique” – Canada LE NIC n. 5, 12 marzo 2006 pp 8-12
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